«Passa dalla famiglia il futuro del Paese»

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non c’era (come già era stato annunciato, ndr.) alla Conferenza nazionale «Famiglia: storia e futuro di tutti», organizzata a Milano dalla presidenza del Consiglio. Ma ieri nel capoluogo lombardo c’erano però due suoi ministri, Maurizio Sacconi e Mara Carfagna, e il sottosegretario alle Politiche per la Famiglia Carlo Giovanardi. E a lui infatti è toccato aprire la tre giorni di lavoro. Una relazione, la sua, caratterizza da un passaggio cristallino sulle biotecnologie. «La rottura della diga costituita dalla legge 40 aprirebbe la porta a inquietanti scenari, tornando a un vero e proprio Far West della provetta. Scienza e biotecnologie possono togliere ai figli il diritto di nascere all’interno di una comunità d’amore con identità certa paterna e materna», ha detto Giovanardi. Tuttavia è stata la relazione di Sacconi, a sollecitare ancora di più il dibattito e, successivamente, le polemiche, visto che a riguardo il governo prepara misure. «Senza nulla togliere al rispetto che meritano tutte le relazioni affettive che però riguardano una dimensione privatistica – ha detto il ministro del Welfare – le politiche pubbliche che si realizzano con benefici fiscali sono tarate sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio e orientata alla procreazione». Su questi punti, ha detto ancora Sacconi «ho avvertito con l’assemblea futurista e il presidente Fini una differenza di opinioni». Poi a poche ore dalla sortita, la precisazione. «È incredibile come sia sufficiente richiamare gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione per suscitare scandalo. Le politiche pubbliche si occupano della famiglia naturale fondata sul matrimonio in quanto orientata alla procreazione», ha spiegato Sacconi che ha aggiunto: «Le politiche pubbliche si occupano ovviamente anche della natalità più in generale, dentro e fuori il matrimonio».

Secondo Sacconi poi non esiste un problema di risorse per le famiglie. Le risorse, ha aggiunto, «devono essere riallocate e riorganizzate, ma non dimentichiamo quanto spendiamo per la famiglia. Non avremmo un grande debito pubblico se non avessimo una forte dimensione della spesa diretta e indiretta attraverso il Fisco». E su questa linea, ha detto la Carfagna «ho dato i miei fondi del dipartimento delle Pari Opportunità proprio per le politiche di conciliazione lavoro-famiglia, a favore dell’impiego delle donne». Tuttavia, il sottosegretario alla Famiglia Giovanardi lancia l’allarme: «Le statistiche dimostrano che c’è una seria crisi della natalità e dell’istituto matrimoniale». Snocciola i numeri Giovanardi: «Nel 1972 i matrimoni furono 419mila contro i 246.613 del 2008; il tasso di natalità è sceso a 1,42 figli per donna, tasso che sale al 2,3 per le donne straniere; negli ultimi anni sono aumentate le separazioni legali e i divorzi». Il sottosegretario ha assicurato che il governo interverrà per un nuovo fisco a misura di famiglia che tenga conto del numero dei componenti del nucleo familiare. Si chiamerà “quoziente familiare” o “fattore famiglia”. Domani la sintesi dei lavori porterà all’elaborazione del Piano nazionale per la Famiglia. Una proposta capace di raccogliere tutte le politiche familiari erogate, anche quelle degli enti locali. Idea quest’ultima annunciata anche da Giovanardi dopo i discorsi dei rappresentanti del territorio, dal sindaco di Milano Letizia Moratti, dal presidente della Provincia di Milano Guido Podestà e dal presidente della Lombardia Roberto Formigoni. Il governatore lombardo per esempio (le Regioni hanno competenza esclusiva su alcune materie, come la Sanità, ndr.) ha elencato alcuni interventi fatti a tutto campo a favore della famiglia e della natalità. Per esempio l’istituzione del fondo Nasko, che stanzia denari alle gestanti (e future mamme) in difficoltà economica a patto che non abortiscano. «In Lombardia – ha detto Formigoni – stiamo lavorando per rendere il quoziente familiare un principio trasversale a tutte le politiche e abbiamo iniziato ad applicarlo sperimentalmente all’interno della dote lavoro. Berlusconi? Sarebbe stato meglio se fosse stato presente». Davide Re Il cardinale Tettamanzi: i diritti della famiglie deboli non sono mai diritti deboli

Si è rivolto direttamente ai numerosi rappresentanti del governo presenti: «Non basta la semplice proclamazione di valori, impegni e mete, ma serve il lavoro quotidiano sulle condizioni concrete delle famiglie». Quello del cardinale Dionigi Tettamanzi era uno degli interventi più attesi, alla cerimonia inaugurale della Conferenza nazionale della famiglia. Nel suo saluto l’arcivescovo di Milano ha richiamato con forza i temi della tutela della famiglia posti in rilievo nel documento elaborato dai vescovi italiani per il prossimo decennio. Tettamanzi ha sottolineato la necessità «di una grande alleanza tra le forze politiche, sociali, culturali e imprenditoriali che possono impegnarsi sulla famiglia». E, in particolare, la necessità «di porre al centro» la famiglia e di aiutarla nelle difficoltà, negli sforzi «che gravano soprattutto sulle donne». Tema caro al cardinale, quello dei «diritti» ha fatto breccia immediata in una platea arrivata da tutta Italia per la costruzione di un «futuro di tutti» e che ha subito applaudito: «I diritti delle famiglie deboli non sono diritti deboli» ha detto Tettamanzi rimodulando la formula che ha accompagnato fin dall’inizio il suo magistero milanese. «Tutt’altro – ha aggiunto –. E in questo tutt’altro è contenuto lo sforzo che deve compiere questa Conferenza». Il pensiero del cardinale è andato «all’intero tessuto familiare che caratterizza il nostro Paese e che dà un contributo notevolissimo in diversi ambiti: da quello educativo a quello economico all’attenzione alle varie povertà che incontriamo». Ma è andato anche al prossimo Incontro mondiale delle famiglie, con il Papa a Milano nel 2012. A Barcellona, accanto a Bendetto XVI, durante la consacrazione della Sagrada Familia, domenica c’era anche Tettamanzi. «Durante cerimonia – ha raccontato –, la bellezza della chiesa progettata da Gaudì mi ha rimandato alla mente le famiglie del nostro Paese, davvero splendide perché anche in mezzo alle varie difficoltà sanno conservare la loro dignità». Annalisa Guglielmino L'Italia ha la febbre alta. E' ora di terapie Prima di ogni terapia c’è la diagnosi. E quella pronunciata da Gian Carlo Blangiardo è netta: siamo malati. Colpiti da una grave forma di mutazioni demografiche «del tutto impensabili solo qualche decennio fa». Basta uno dei tanti esempi portati alla Conferenza nazionale sulla Famiglia dal docente di Demografia all’università Bicocca di Milano: «Chi nel 1974, in un clima di "bombe demografiche" che non risparmiavano nemmeno l’Italia, avrebbe scommesso sul raggiungimento della crescita zero in un paio di decenni? Gli esperti, in tutta buona fede, delineavano per il 2000 uno scenario totalmente diverso: 65 milioni di popolazione italiana e quindi una densità di 214 abitanti per chilometro quadrato...», contro i 180 attuali. E ancora: chi solo 30 o 40 anni fa avrebbe previsto «il raddoppio degli anziani dal 1971 al 2010»? Ma soprattutto la rarefazione dei giovani, oggi quasi 6 milioni in meno rispetto ad allora?

Nel frattempo, poi, è aumentato il numero delle famiglie in Italia, cresciute di ben 9 milioni, ma nel frattempo si sono per così dire "ristrette" di dimensioni, scendendo sotto la soglia dei tre componenti in media per famiglia (2,4 è la media attuale, ovvero mezzo figlio per coppia). Insomma, nell’arco di una generazione la popolazione italiana ha subìto una trasformazione analoga a quella realizzata in un intero secolo di unità nazionale (1861-1961). E la febbre oggi è alta, al punto che non c’è più tempo per le diagnosi, è urgente passare alle cure. Tre in particolare le priorità indicate da Blangiardo «in una logica di prospettiva»: le difficoltà nei giovani a spiccare il volo e uscire dal nido per costituirsi una propria famiglia; il divario tra il numero di figli che si desidererebbe mettere al mondo e quelli che in realtà si generano; il numero sempre più grande di anziani soli al mondo. Il volo dal nido. Come detto, il volo dalla famiglia d’origine in Italia lo si spicca sempre più tardi, e l’aver dilatato la permanenza dei giovani in casa dei genitori ha via via creato un effetto domino di ritardi: si studia più a lungo, si trova il primo impiego più tardi, si posticipa il matrimonio e quindi il primo (e spesso unico) figlio, che arriva ben oltre i 30 anni. Il figlio desiderato (ma non procreato). Le donne italiane, però, continuano ad avere un’elevata propensione ad essere madri, tant’è che ognuna desidera in media almeno due figli, e questa è la bella notizia. La brutta è che invece si fermano quasi sempre al primo, così che la media nazionale attualmente è di un figlio e mezzo per donna (1,4). Molte le cause, ma è facilmente intuibile che avere i figli più tardi significa averne meno. Spaventata dalla denatalità, la nostra società affida sempre più spesso le proprie speranze alle donne immigrate, tradizionalmente più prolifere, ma i dati - spiega Blangiardo - dimostrano che anche loro si adattano presto al modello riproduttivo della società che le ospita, specie nelle metropoli: solo nel 2006 mettevano al mondo 2,5 figli a testa in media (contro il nostro 1,4), mentre nel 2009 erano già scese a una media di 2 (con punte negative di 1,4 a Genova, 1,3 a Roma, 1,2 a Napoli). Nulla di sorprendente, visto che i problemi sono gli stessi delle coppie italiane: «È un segnale della loro integrazione», anche se in negativo, «e non si può delegare a una collettività fragile come sono gli immigrati la magica soluzione del problema fondamentale del calo delle nascite», ammonisce Blangiardo. Il contagio, dunque, si allarga. Più anziani, più soli. «Evitare che per un italiano su venti la solitudine si trasformi in una vera e propria esclusione sociale è un impegno non marginale - avverte poi il demografo -, un obiettivo al quale occorre lavorare sin da ora». Altrimenti il quadro sarà presto molto grave: se gli ultra90enni attualmente sono quasi 500mila, nel 2031 saranno oltre 1 milione e 300mila, e in molti casi faranno parte dell’universo di oltre 8 milioni di persone sole. Uno scenario per nulla catastrofista, visto che già ora i dati dell’ultimo quindicennio segnalano, a fronte di un aumento degli ultra75enni pari al 63% circa, un ulteriore aumento di quelli soli (70% circa). Un problema che ci riguarda tutti, visto che l’obiettivo comune e condiviso è quello di invecchiare (unica alternativa al morire), e invecchiare felicemente è la conditio sine qua non perché ciò avvenga serenamente. Fin qui, alla Conferenza sulla Famiglia, la diagnosi. In attesa di ascoltare le terapie. Lucia Bellaspiga

CONFERENZA DI MILANO SULLA FAMIGLIA

da: Avvenire del 9/11/2010