INTRODUZIONE
Dati di antichissima
tradizione danno come autore del secondo Vangelo Marco, eco fedele della
catechesi di Pietro per le comunità cristiane.
Tra le testimonianze della
Chiesa antica ricordiamo due del secondo secolo: Papia,
che afferma: "Marco, che era stato interprete di Pietro, scrisse
accuratamente, non però in ordine, quello che
ricordava delle parole e delle azioni del Signore" (cf Eusebio, Storia ecclesiastica 3,39,15), e Ireneo, verso la fine
del secolo: "Marco, discepolo e interprete di Pietro, anch'egli ci
trasmise per scritto le cose predicate da Pietro" (Contro le eresie
3,1,1 ).
Si ritiene che Marco sia
il primo a raccogliere in un ‘vangelo' i fatti
principali della vita di Gesù e alcuni suoi insegnamenti. Prima di lui ci sono tradizioni orali della predicazione degli apostoli e dei
loro primi collaboratori. Finché si sente l'esigenza di metterli in scritto per
offrire alle comunità un racconto continuo su Gesù, utile per la fede e la vita
cristiana. L'insistenza sulla croce e sulle sofferenze che attendono i
discepoli è un indizio delle circostanze in cui fu redatto questo vangelo: in
tempo di persecuzione, forse a Roma sotto Nerone.
CHI È MARCO?
C'è una scena molto vivace
in At
12,11-17:
l'apostolo Pietro, liberato dal carcere, subito si reca "nella casa di
Maria, la madre di Giovanni soprannominato Marco"; e
Sappiamo così che Maria,
forse già vedova, ha messo a disposizione della Chiesa primitiva la sua dimora
signorile. E antiche testimonianze fanno ritenere probabile che questa stessa
casa sia il Cenacolo, dove Gesù ha celebrato l'ultima Cena e gli apostoli con
Maria hanno atteso la discesa dello Spirito Santo.
Sembra probabile, inoltre,
che alla famiglia di Marco appartenga anche il Getsemani,
ai piedi del monte degli Ulivi, dove Gesù passa le notti in preghiera
quando si ferma a Gerusalemme. L'ipotesi è suggerita dall’episodio di Mc 14, 51, dove "un giovanotto
seguiva Gesù, vestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli,
lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo".
È una pennellata che
rivela l'autore: il ragazzo è Marco, che si trovava a dormire nella casetta del
campo del Getsemani e, svegliato dai rumori dei
soldati che stanno catturando Gesù, corre a vedere gettandosi addosso solo il
lenzuolo.
Dopo la Pentecoste, la
casa di Maria diviene dimora abituale di Pietro e tra i suoi primi battezzati
c'è Marco, che per questo viene chiamato "figlio
mio" (1Pt
5,13).
Sappiamo anche che Marco è 'cugino' o nipote (cf Col
4,10) di
Giuseppe Barnaba, originario di Cipro e di famiglia levita. Così quando,
intorno all'anno 44, Paolo e Barnaba vengono da Antiochia con offerte per la comunità di Gerusalemme, sono
ospiti della casa di Marco. E tornando ad Antiochia i
due apostoli si portano come aiuto al loro apostolato "Giovanni
soprannominato Marco" (At 12, 25). Marco è con loro anche a Cipro e a Perge
(At 13, 5), ma
poi fa ritorno a Gerusalemme (At 13,13).
Nell'anno 49 Paolo e
Barnaba tornano a Gerusalemme, ospiti ancora di Marco, che ha modo di
entusiasmarsi per le imprese dei due. E, quando riprendono il cammino
apostolico, Barnaba prende di nuovo con sé "Giovanni, chiamato Marco"
e "s'imbarcò per Cipro, mentre Paolo, prendendo con sé Sila, partì,
affidato dai fratelli alla grazia del Signore" (At 15, 35-40).
In seguito Marco torna con
Paolo, il quale raccomanda di accoglierlo bene sia scrivendo ai Colossesi (4,10s) che a Filemone (24): siamo nel 61. Più tardi, nella seconda
prigionia a Roma, Paolo scrive a Timoteo di condurre con sé Marco "che mi
è molto utile per l'opera del ministero" (2Tm 4,
11).
Di certo Marco è presente
a Roma con Pietro, che nella sua prima lettera, scritta probabilmente dalla
capitale dell'impero verso il 60, saluta i cristiani "del Ponto, della Galizia, della Cappadocia,
dell'Asia e della Bitinia” a
nome di Marco, evidentemente conosciuto dai destinatari. Per lo più si ritiene
che Marco sia presente ad alcuni eventi della vita di Gesù, ma non sia un
discepolo.
Si parla anche
dell'origine levitica di Marco che, divenuto
cristiano, si sarebbe tagliato il pollice per non
compiere più gli atti del sacerdozio levitico (da qui
l'epiteto datagli "dal dito tagliato").
Tradizioni che risalgono
già al 2° secolo attribuiscono a Marco la fondazione della chiesa di
Alessandria di Egitto e negli Atti di Marco, pubblicati dai Bollandisti,
al 25 aprile sono narrati i particolari del martirio dell'evangelista, ucciso e
sepolto nel villaggio di Bucoli, località piena di rocce e burroni vicina ad Alessandria.
E proprio da Alessandria
le sue reliquie vengono prese nell'828 da due mercanti
veneziani (Buono da Malamoco e Rustico da Torcello) e portate nella loro città: da quel momento Marco
è legato a Venezia, di cui diventa il patrono.
Ma il suo nome è Marco o
Giovanni? Gli Atti parlano di Giovanni(13, 5.13), o di Giovanni chiamato Marco (12,12.25) o semplicemente Marco (15, 39): sempre per indicare la
stessa persona, il nostro evangelista. Del resto, rispecchia l'usanza dei
Giudei di aggiungere al nome ebraico uno greco o latino: quindi, è chiamato
Giovanni in terra di Palestina e in prevalenza Marco tra i pagani.
Quanto al culto,
Nel V secolo i resti di
Marco furono trasferiti da Bucoli nella zona del
Canopo, la cui chiesa fu incendiata dagli arabi nel 644 e ricostruita dai patriarchi
Agatone (662-680) e Giovanni di Samanhud (680-689).
Ad essa sarebbero approdati i due mercanti veneziani.
Una presenza del culto al
Santo nella zona di Aquileia tra il 783-786 viene attestata dallo scrittore locale Paolo Diacono, che ne
fa il primo apostolo dei Veneti. La notizia poi è rimbalzata in vari documenti
successivi.
Un dato poi permette di
considerare la presenza del corpo di Marco a Venezia ed è il testamento di
Giustiniano Particiaco dell'829, dal quale risulta
l'erezione di una basilica in suo onore. E il culto del Santo diventa man mano
il simbolo del potere politico della Repubblica, addirittura il principio
giuridico dell'autorità dinanzi alla successione degli uomini nel tempo, e
accompagna le conquiste territoriali. La sua figura è presente sulle monete,
nei vessilli e il suo nome nel rito dell'investitura del doge. Appena il
neoeletto giunge in basilica, riceve vessillo e spada sulla tomba del Santo,
dove emette
anche la promessa di fedeltà allo Stato (e ad Alessandria il rito è identico
per l'elezione del Patriarca). '
II vertice del culto è
nella festa liturgica del 25 aprile: in basilica scendono il doge, il senato,
gli ambasciatori, le scuole grandi, le congregazioni del clero. Cosa che si
ripete il 31 gennaio, festa civile con processione per il ricordo della
"traslazione".
La diffusione geografica
del culto segue poi l'espansione del dominio veneziano prima e la presenza
italiana poi.
La Basilica veneziana, distrutta
in parte e poi restaurata nel 976, si trasforma in quella attuale tra il 1063 e
il 1094. Benché a Venezia nessuno abbia dubbi sulla presenza delle reliquie,
tuttavia in tempi più recenti si hanno tre ricognizioni con i patriarchi Bonsignori (1811), Monico (1835)
e Roncalli (1957).
La Chiesa cattolica venera
Marco come martire e ne celebra la festa il 25 aprile. Così pure la Chiesa
greca, che però celebra anche 'Giovanni detto Marco'
il 27 settembre.
Simbolo di Marco è il
leone derivato da Ez 1, 5-13 e ;Ap 4, 6-7. Non è reperibile nelle
catacombe, ma è presente sul finire del sec. IV nei mosaici di S. Pudenziana, di S. Sabina, nel Mausoleo di Galla Placidia a
Ravenna e in seguito nel duomo di Cividale.
A volte diventa
"leone alato" perché nelle zone agricole occidentali della provincia
di Venezia si ritiene che il Santo sia asceso al cielo e poi ritornato in terra
sotto forma di leone, oppure (nel Polesine) che egli sia raffigurato nella luna
vista dalla fantasia come un muso di leone.
Continuando sull'iconografia
si nota che la rappresentazione della forma umana dell'Evangelista, oltre che
nelle catacombe romane di Marco e Marcelliano (verso il 340) e nell'ipogeo di
Alessandria d'Egitto (sec. V-VI), compare a Cipro nella chiesa di Panagia Kanakaria (sec. VI) e a
S. Vitale di Ravenna: qui Marco è col leone accanto, un modulo che resta
classico, ripreso da una ricca serie di miniature medievali (come il Legionario
di Ludovico il Pio, l'Evangelario irlandese di Lindisfarne,...).
Il ciclo più completo della
serie iconografica è dato dalla basilica di San Marco in Venezia: qui è
presente il tipo del leone e la storia della sua vita si svolge poi nei mosaici
dall'XI secolo in poi. Ma la figura del Santo compare quasi in ogni angolo
della basilica e anche in tutta Venezia. I secoli poi registrano vari cicli
pittorici, come quello di Paolo Veneziano, di Gentile e Giovanni Bellini, del
Tiziano, Tintoretto, Palma il Giovane ed infine il
ciclo dei "teleri" della Scuola di S.
Marco. E fuori Venezia la figura di Marco raggiunge il vicino
Oriente, la Germania, la Francia, la Spagna e altre zone d'Europa.
Come "scrivano di
Pietro", Marco è considerato patrono dei notai, degli scrivani, dei vetrai
e pittori su vetro, perché esposti a ferite alle mani, che Il Santo guarisce
come ha fatto col discepolo Aniano. È anche patrono
degli ottici, dei lavoratori di corde e di ceste, perché si narra che le sue
reliquie furono trafugate in ceste dai mercanti di seta a Firenze.
Infine, “Mc”
è l'abbreviazione per citare passi del vangelo di Marco.
PER CHI SCRIVE
MARCO?
Marco scrive prima del 62,
anno in cui è pubblicato il vangelo di Luca, che dipende da Marco. Il suo
scritto va datato tra il 50 e il 60, nel periodo vissuto a Roma accanto a s.
Pietro. È il narratore popolare per eccellenza: si limita a fissare la
narrazione di Pietro con scioltezza, vivacità, spontaneità, con la rudezza
dell'arte popolare. Anima i suoi personaggi da renderli protagonisti sotto gli
occhi del lettore. Coglie i particolari di una scena senza preoccuparsi poi di
ordinarli in un racconto.
Si percepisce che nella
sua narrazione rivive la storia di Cristo: di qui il grande fascino dello
stile.
E Marco scrive per fedeli
di origine pagana; secondo la tradizione più antica, per i cristiani di Roma.
Ad essi egli presenta Gesù Messia e Figlio di Dio,
operatore di miracoli, dominatore di satana che viene costretto a riconoscergli
una superiorità divina. Si rivolge ai suoi immediati lettori con un documento
agile e autorevole, in grado di dare un volto di Gesù integrale e concreto,
contro i pericoli di una fede vaga ed astratta.
COSA SCRIVE
MARCO?
Il vangelo di Marco si
prefigge di stabilire con chiarezza l'identità di Gesù di Nazaret,
il Cristo-Messia, il Figlio di Dio, riconosciuto e adorato come il Signore,
crocifisso e risorto. Il testo riferisce soprattutto parole e fatti legati
all'attività svolta da Gesù in Palestina, a partire dalla Galilea fino a
Gerusalemme, e manca di qualsiasi riferimento alla sua infanzia.
Del vangelo di Marco si
hanno sedici capitoli in uno schema semplice, ma
efficace. Eccolo:
v
Titolo 1, 1
v
Inizi
della vita pubblica 1, 2-15
v
Gesù
In Galilea 1,
16-3, 35
v
Mistero
del Regno 4,
1-6, 2
v
I
pani e gli altri segni 6,
30-8, 26
v
Verso
Gerusalemme 8,
27-10, 52
v
Gesù
a Gerusalemme 11,
1-13, 37
v
Passione, morte e risurrezione di
Gesù 14, 1- 16, 8
v
Altri
racconti pasquali 16,
9-20
Dopo il
preludio (con la predicazione di Giovanni Battista, il battesimo di Gesù e la
tentazione (1,
1 -13) nel
deserto), si ha un periodo di ministero in Galilea (1, 14- 7, 23); seguono i viaggi di Gesù
con gli apostoli nella regione di Tiro e Sidone,
nella Decapoli, nella regione di Cesarea di Filippo,
con il ritorno in Galilea (7,2 4-9, 50); infine l'ultima salita verso Gerusalemme per la
passione e la risurrezione (10, 1-16, 8).
È un quadro convenzionale,
perché sembra che Gesù sia andato più volte a Gerusalemme prima della pasqua di
passione.
Ma il tracciato di Marco
ha portata storica e teologica: "Gesù all'inizio è ricevuto dalle folle
con simpatia; poi il suo messianismo umile e spirituale delude la loro attesa e
l'entusiasmo si raffredda; allora Gesù si allontana dalla Galilea per dedicarsi
alla formazione del piccolo gruppo di discepoli fedeli, dei quali ottiene
l'adesione incondizionata con la confessione di Cesarea: si tratta di una
svolta decisiva a partire dalla quale tutto si orienta verso Gerusalemme, dove
consuma, in seguito a una opposizione sempre più viva,
il dramma della passione, coronato infine dalla risposta vittoriosa di Dio: la
risurrezione".
Dal piano del vangelo
risaltano i dm principali centri di Interesse, la persona di Gesù e il cammino
di fede dei discepoli. Gesù li conduce man mano a riconoscere in lui il Messia
e li educa con continue istruzioni ad accogliere le coerenti esigenze della
fede (sezione centrale del libro).
Marco è interessato dal
paradosso di Gesù. incompreso e respinto dagli uomini,
ma inviato ed esaltato da Dio. Suo tema è di manifestare il Messia crocifisso.
Se mostra in Gesù il Figlio di Dio, riconosciuto come tale dal Padre (1, 11 ; 9,7), dai demoni (1, 24; 3, 11 ; 5, 7), e perfino dagli uomini (15, 39), il Messia che rivendica
un rango divino (14,
62),
superiore agli angeli (13,
32), si
attribuisce il potere di perdonare i peccati (2, 10), prova la sua potenza e
la sua missione con miracoli (1, 31;4, 41;...) ed esorcismi (1, 27; 3, 23s;...), sottolinea però molto anche lo scacco apparente
tra gli uomini: scandalo delle folle (5, 40; 6, 2s), ostilità dei capi giudei (2, 1-3, 6;...), incomprensione perfino
dei discepoli (4, 13): tutte opposizioni che conducono alla croce.
Marco
spiega lo scandalo contrapponendogli il trionfo finale della risurrezione e il
disegno di Dio: Cristo ha sofferto per redimere gli uomini (10, 45-14, 24), secondo le Scritture (9, 12- 14, 21.49) e le stesse parole di
Gesù per quanto riguarda lui (8, 31; 9, 31- 10, 33s) e i suoi (8, 34s; 9, 35; 10, 15.24s.29s.39;
13, 9-13).
E per evitare un entusiasmo illusorio. Gesù circonda di silenzio i suoi
miracoli (5,
43s) e la sua
persona (7,
24; 9, 30),
al titolo di Messia (con equivoche attese di gloria umana) preferisce quello
umile di "Figlio dell'uomo" (2, 10): è il cosiddetto "segreto messianico" (Mc 1, 34).